Raccontiamo il Bene
Una campagna per contare e raccontare le pratiche di riutilizzo dei beni confiscati gestite dall'associazionismo
Il prossimo 7 marzo saranno trascorsi 27 anni dall’approvazione della Legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, che ha rappresentato un formidabile strumento di contrasto ai clan e all’economia criminale, consentendo contestualmente di disseminare in tutta Italia esperienze di riscatto e cambiamento.
In tutto il Paese contiamo oggi oltre 950 soggetti sociali impegnati quotidianamente nella gestione di questi luoghi, trasformati da beni esclusivi e simbolo del potere criminale sul territorio a beni di comunità. Una rete di esperienze in grado di fornire servizi e generare welfare, di creare nuovi modelli di economia e di sviluppo, di prendersi cura di chi fa più fatica. In tanti casi, aggiungendo a questo valore anche quello della memoria delle vittime innocenti delle mafie, cui i beni confiscati e i prodotti delle attività che vi si realizzano vengono intitolati. Il nostro impegno, dunque, è e deve restare quello di valorizzare la bellezza di queste storie, moltiplicandone la conoscenza.
Sin dal 2013 Libera si è assunta la responsabilità di costruire una mappatura di queste pratiche di riutilizzo gestiste dal Terzo Settore. Un vero e proprio censimento che Libera aggiorna annualmente in occasione proprio del compleanno della Legge 109.
Da questa esigenza nasce la campagna RACCONTIAMO IL BENE, con l’obiettivo di contare e raccontare il valore e i valori di questo mondo variegato e articolato, che attraversa l’Italia dal nord al sud.
Un lavoro per il quale è fondamentale la partecipazione dei soggetti gestori di beni confiscati, ai quali chiediamo di compilare un breve questionario quali-quantitativo, in grado di aiutarci a scattare una fotografia aggiornata di quanto si muove attorno al tema del riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati, che sta cambiando il volto di tante aree del Paese.
Un racconto collettivo capace di dimostrare, una volta di più, che riutilizzare i beni confiscati per finalità pubbliche e sociali non solo ha un valore etico, culturale, politico e simbolico insostituibile, ma anche un importante valore economico, che si traduce in esperienze di imprenditorialità sociale, in contratti di lavoro, in un grande sistema di welfare.