Non saremo mica argentini!
Leggi il racconto di Giramondi 2024 a cura di Giovanni Esposito
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Eh sì, ci accoglie così, con questa colorita esclamazione e un sorriso bonario, il nostro amicoPaoloalle quattro del mattino all’aeroporto di Ciudad de México. In un’atmosfera ancora notturna e surreale, ci accompagna a casa sua per una colazione di “bienvenido”e, mentre percorriamo le strade verso Cojacan, il barrio dove abita, notiamo le auto della polizia con le loro luci blu, che regalano un suggestivo colore alla città.
A Coyoacán ci aspetta Teresa, la moglie di Paolo, con la sua travolgente ilarità e il suo umorismo, e una tavola apparecchiata con cura e amore che ci mette immediatamente a nostro agio. Comincia così la nostra avventura in Messico: dentro van pronti a coprire distanze enormi, in un dedalo di strade e di volti che iniziano a svelare l'anima dei nostri incontri. A partire dalla nostra base, Casa Xictla, immersa in un giardino giunglesco che sembra dirci: “Riposatevi, prendete fiato e poi via, partite!”
La città si svela poco a poco e, nonostante si senta fin da subito quell’aria brutale che ti avvolge — perché Ciudad de México non ti accoglie, ti travolge, ti colpisce, ti sconquassa eti stanca —, in tutte le lacrime, la dignità e la forza di chi incontriamo si percepisce anche una carezza calda e gentile, che si chiude in tanti sorrisi che i messicani non ci risparmiano mai.
Percorrendo le strade segnate dagli “Antimonumenti”, restiamo quasi disorientati, chiedendoci: ma in un Paese dove sparisce una persona ogni ora, come si fa ancora asorridere? Camminiamo lungo un viale pieno dei volti di uomini e donne che ci guardano rivendicando il loro diritto di essere cercati, in risposta a quel “¿Dónde están?” scritto in calce sui manifesti: l’ultimo segno tangibile di un’esistenza interrotta che chiede memoria.
All’inizio, la ciudad sembra essere questa: piena di passione e contraddizioni, come quando prima di ripartire ci siamo trovati a Ciudad Retono, nel barrio La Paz, uno dei più pericolosi della città e che, eppure, si chiama “La Paz” — la pace.
Ripartiamo con tutti i volti e le storie di chi si è donato in questa prima parte di viaggio, a partire da Adele, dolce e spontanea, che non si è mai risparmiata nel concedersi a noi per farci comprendere dove ci trovassimo, per farci entrare in questa città di venti milioni di abitanti. Ci ha spiegato che, sebbene molti di loro, a proposito della linea gialla, siano deragliati dai binari della vita, hanno trovato in tempo una mano pronta a rimetterli sul giusto treno, sottolineando — come hanno fatto molte altre donne rappresentanti di varie associazioni — che non solo la speranza c’è, ma va cercata anche negli occhi di chi abbiamo accanto.
Occhio alla linea gialla però, perché da ora l’invito è scegliere: o ci si sporge, anche rischiando un po’, per vedere che succede, oppure si resta dietro la linea gialla, in attesa che accada qualcosa. La rete Alas, che incornicia molte delle realtà che abbiamo incontrato, ci invita a riflettere sul fatto che qui scegliere da che parte stare diventa davvero una scelta di riscatto e un’opportunità concreta. Questo forse è ciò che dovremmo riportare, ancora più determinati, nei nostri territori.
Lo capiamo meglio a Oaxaca, quando partiamo con SiKanda per Zaachila, dove c’è la più grande discarica dello Stato, e qui, alla Escuela Símbolos Patrios (EscuelaTelesecundaria), ci immergiamo in una delle attività più emozionanti di tutto il viaggio. In un luogo isolato, forse dimenticato, viviamo per un giorno in una scuola dove abnegazione evoglia di riscatto esaltano le vite delle persone che ne fanno parte, dagli adulti ai bambini. Nel nostro piccolo contribuiamo a stendere un alto telo su una gradinata di fronte a un rudimentale campetto sportivo. A lavoro ultimato, l’ombra arriva sulla gradinata ed anche se solo per un giorno, ci sentiamo parte di quel meraviglioso progetto, dei racconti emozionanti della scuola di musica e di tutte le altre realtà che costellano questa regione molto particolare del Messico, incastonata in paesaggi naturali suggestivi.
Ormai è chiaro: la linea gialla l’abbiamo oltrepassata. Ci stiamo addentrando nel cuore più profondo del Messico, nella sua cultura e nelle sue pieghe sociali, già intravedendo sullo sfondo i preparativi per il Día de los Muertes.
Inciampiamo su Puebla, prima di arrivare a Tlaxcala, città che si svela a fatica, difficile da inquadrare a prima vista. Anche qui viene in nostro soccorso lo IESDA — Instituto deEstudios Superiores Dante Alighieri — dove la suggestione dell’incontro sta nella sintesi che emerge dalle parole di attiviste, giovani studentesse e studenti nel raccontarci il Messico e le sue complessità sociali, economiche e politiche, toccando tematiche delicate come la parità di genere, la lotta alle disuguaglianze, il diritto al dissenso, la partecipazione e le pari opportunità.
Negli ultimi giorni, rientrati a Ciudad de México, siamo sopraffatti dalla “morte viva” che inonda le strade della città. Teschi ovunque ci ricordano che la morte non è la fine della vita, ma fa parte della vita stessa, e lo Zócalo con la sua marea umana ne è la testimonianza.
La linea gialla con cui ci accolse il nostro amico Paolo è una straordinaria metafora di come sentire il Messico: il consiglio è quello di allontanarsi, ma in realtà senti un’attrazionefortissima per un Paese che sa dare tantissimo, seppur in una fragilità che percepisci ovunque.
Un ultimo pensiero: in Messico è stata smantellata completamente la rete ferroviaria. Al Monumento e Museo della Revolución, visto quasi per caso, ho scoperto che il treno aveva rappresentato un simbolo per la rivoluzione e la libertà dei messicani. Mi sono chiesto quanto sia importante cancellare, per qualcuno, i simboli del riscatto di un popolo e della sua memoria. Ma questa è solo una mia suggestione, laddove da tempo ho deciso di oltrepassare la linea gialla per scegliere da che parte stare.
C’è una frase di Frida Kahlo, che ho letto nel giardino della sua meravigliosa casa, che per me sintetizza l’essenza dei messicani, ma soprattutto delle messicane che abbiamo incontrato: “Soffro, ma in questa sofferenza sono diventata più forte e capace di trovare il coraggio per superare ogni ostacolo.”
di Giovanni Esposito