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'Ndrangheta, l'alternativa per madri e figli dei boss

Un protocollo "Liberi di scegliere", tra Miur, Giustizia,Interno Pari opportunità, Cei e Libera per dare una rete di supporto alle famiglie che decidono di dissociarsi dalla vita criminale .

Garantire pari opportunità ai minori provenienti da contesti familiari mafiosi, fornendo loro un'occasione alternativa alla vita criminale; valorizzare le potenzialità dei minori che attuano questa scelta creando una rete che li accompagni nella nuova realtà sociale. E ancora, individuare una rete di famiglie, case famiglia e strutture che diano supporto economico, logistico, psicologico e lavorativo alle donne e ad interi nuclei familiari che decidono di dissociarsi, a seguito dei loro figli, dai contesti mafiosi e 'ndranghetisti in particolare. Sono questi i punti principali dell'ultima versione del protocollo "Liberi di scegliere" firmato il 31 luglio 2020. A sottoscriverlo i ministeri della Giustizia, dell’Interno, Miur e Pari opportunità, la Direzione nazionale antimafia, la Cei e Libera. Sono 80 minori e circa 40 nuclei familiari, le persone che dal 2012 a oggi hanno potuto lasciare la Calabria, la Sicilia, la Campania ed i contesti mafiosi grazie al progetto Liberi di scegliere. Tutte storie diverse: ci sono minori che hanno commesso reati e magari hanno la messa alla prova, o, a livello civilistico, famiglie maltrattanti dalle quali i figli sono stati allontananti o con una decadenza di potestà genitoriale o momentaneamente. Minori soli o accompagnati dalle mamme. Queste donne non sono né collaboratrici di giustizia, né testimoni e allontanarsi per salvare i propri figli è una scelta forte, ma necessaria.

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L'iniziativa è nata da un'intuizione dell’ex presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella. “I primi provvedimenti risalgono al 2012: abbiamo pensato di allontanare alcuni minori per qualche tempo dalla Calabria e dai loro contesti per consentire a loro di sperimentare orizzonti culturali, sociali, affettivi, psicologici diversi, ma anche per permettere agli operatori della giustizia minorile, assistenti sociali, psicologi, famiglie affidatarie e comunità, di lavorare liberi dalle pressioni ambientali. Più volte capitava che gli assistenti sociali mi riferissero di aver ricevuto pressioni o comunque di non lavorare in un clima sereno”, spiega il presidente Di Bella. “Non si trattava di rieducare nessuno. Semplicemente di mostrare a questi ragazzi, per un periodo di tempo, che fuori dagli spazi chiusi delle loro case esisteva un altro mondo. Non avremmo mai chiesto loro di rinnegare i padri e le madri, ma solo di domandarsi se veramente volevano per il loro futuro la strada che quelle famiglie avevano scelto”.

Ma il percorso è andato oltre, trovando per la prima volta un modo per tutelare anche i genitori che decidono di seguire i figli. In particolare, le madri che spesso non hanno nulla da riferire alla giustizia e che quindi non possono accedere ai programmi di protezione previsti per collaboratrici e testimoni di giustizia. Il progetto non ha avuto vita facile, soprattutto all'inizio, per la difficoltà di certi interventi e perché è stato anche autorevolmente criticato per la radicalità del suo intervento sui minori. Tuttavia, alla fine, la cura dedicata a ogni singolo percorso, l'assenza di automatismi e di freddezze burocratiche ha convinto i più, portando anche a risultati inaspettati. In alcuni casi, anche qualche padre detenuto ha scelto di raggiungere i familiari una volta terminato il periodo di carcerazione.
Un progetto che si è alimentato del “noi”con il progressivo coinvolgimento delle istituzioni, con una forte partecipazione della Direzione nazionale antimafia guidata dal procuratore Cafiero de Raho, la chiesa, enti e associazioni, famiglie affidatarie, che oggi garantiscono una rete di sostegno al lavoro dei giudici minorili. Se oggi il protocollo garantisce alloggi, lavoro, e consente di iscrivere e seguire i minori a scuola è perché si è attivata una collaborazione ampia, che ha reso il progetto un impegno collettivo. “Nel periodo di transizione non ce l’avremmo fatta- commenta Di Bella- senza il contributo determinante dell’associazione Libera, che aveva la capillarità e la velocità d’azione che le vite dei ragazzi richiedevano”.

Il progetto Liberi di scegliere condensa l'idea di un’antimafia che non si rassegna all'idea che possano esistere vite di scarto. Non c’è un percorso prestabilito, ogni trattamento viene personalizzato sul minore e la donna coinvolta, poiché ciascuno di loro ha vissuti ma anche personalità, cultura e condizioni di partenza differenti. Un ragazzo in carcere diventa ancora più mafioso. 

"Il progetto si sostiene con il contributo 8x1000 alla chiesa cattolica"

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